Agli inizi degli anni '90, la trattativa tra
Stato e Cosa Nostra "ci fu e venne quantomeno inizialmente impostata su
un do ut des". Lo scrivono i giudici di Firenze nella motivazione della
sentenza del processo a Francesco Tagliavia, il boss condannato per la
strage di via De' Georgofili. "Non ha trovato consistenza - si legge
ancora - l'ipotesi secondo cui" Forza Italia si sarebbe posta come
"mandante o ispiratrice delle stragi".
L'iniziativa
di trattare, proseguono i giudici fiorentini, "fu assunta da
rappresentanti dello Stato e non dagli uomini di mafia". Dalla
"disamina" delle dichiarazioni "di soggetti di così spiccato profilo
istituzionale esce una quadro disarmante che proietta ampie zona d'ombra
sull'azione dello Stato nella vicenda delle stragi", proseguono i
magistrati. "Ombre che questo processo - continuano - non hanno potuto
dipanare".
Per quanto riguarda invece i rapporti con la nascente Forza Italia, i giudici sottolineano come l'ipotesi secondo cui la nuova entità politica si sarebbe posta "come mandante o ispiratrice" delle stragi del 1993 "non ha trovato consistenza". Ciò però non esclude, secondo i giudici, "che una svolta nella direzione politica del Paese" arrivata con la nascita del nuovo partito "fosse stata vista dalla mafia come una chance per affrancarsi dalla precedente classe dirigente in declino". Un'ipotesi che, scrivono ancora i magistrati nelle motivazioni, "parimenti non rende impossibile che un canale di interlocuzione si fosse aperto con quel nuovo partito, o anche solo con alcuni suoi esponenti di rilievo".
Di certo, per gli stessi giudici, "appare sostenibile che le nuove prospettive avevano indotto a rinunciare al progetto di creare un partito di mafia sotto l'etichetta di 'Sicilia libera'", la cui nascita è attestata dallo statuto acquisito agli atti del processo, sarebbe stato "capace di aggregare anche le potenti cosche della 'ndrangheta calabrese".
Per il presidente della Commissione parlamentare antimafia, Giuseppe Pisanu,, più che di una "trattativa" si trattò di un tentativo di "estorsione, come ci hanno spiegato oggi i giudici di Firenze: la mafia, nella stagione delle stragi sul continente, ha cercato di costringere lo Stato con la violenza".
La sentenza giunge come un atto d'accusa anche alla gestione della giustizia, a chi doveva sapere, "soggetti di così spiccato profilo istituzionale", scrivono i giudici riferendosi agli ex ministri Nicola Mancino e Giovanni Conso, entrambi chiamati come testimoni al processo. Mancino a febbraio "ha negato di essere stato a conoscenza di una trattativa" che lui, comunque, avrebbe respinto. (t.g. com.)
Per quanto riguarda invece i rapporti con la nascente Forza Italia, i giudici sottolineano come l'ipotesi secondo cui la nuova entità politica si sarebbe posta "come mandante o ispiratrice" delle stragi del 1993 "non ha trovato consistenza". Ciò però non esclude, secondo i giudici, "che una svolta nella direzione politica del Paese" arrivata con la nascita del nuovo partito "fosse stata vista dalla mafia come una chance per affrancarsi dalla precedente classe dirigente in declino". Un'ipotesi che, scrivono ancora i magistrati nelle motivazioni, "parimenti non rende impossibile che un canale di interlocuzione si fosse aperto con quel nuovo partito, o anche solo con alcuni suoi esponenti di rilievo".
Di certo, per gli stessi giudici, "appare sostenibile che le nuove prospettive avevano indotto a rinunciare al progetto di creare un partito di mafia sotto l'etichetta di 'Sicilia libera'", la cui nascita è attestata dallo statuto acquisito agli atti del processo, sarebbe stato "capace di aggregare anche le potenti cosche della 'ndrangheta calabrese".
Per il presidente della Commissione parlamentare antimafia, Giuseppe Pisanu,, più che di una "trattativa" si trattò di un tentativo di "estorsione, come ci hanno spiegato oggi i giudici di Firenze: la mafia, nella stagione delle stragi sul continente, ha cercato di costringere lo Stato con la violenza".
La sentenza giunge come un atto d'accusa anche alla gestione della giustizia, a chi doveva sapere, "soggetti di così spiccato profilo istituzionale", scrivono i giudici riferendosi agli ex ministri Nicola Mancino e Giovanni Conso, entrambi chiamati come testimoni al processo. Mancino a febbraio "ha negato di essere stato a conoscenza di una trattativa" che lui, comunque, avrebbe respinto. (t.g. com.)

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